“Savor. Ricordi, ricette e filmati per tramandare la cultura delle «rezdore» modenesi”.
A cura di Antonio Cherchi, Elodie Drago, Nico Lusoli. Prefazioni di Emilio Sabattini, Andrea Landi, Carlo Petrini. Edito da Arte Stampa.
Modena sei sempre Modena
(Recensione di Daniele Rubboli)
Commosso.
Nella mia stanza – detta studio quando voglio far bella figura – che oggi guarda cieli bigi dal quarto piano, in una Milano dai tetti rossicci, senza camin che fumano, mi sono alzato in volo.
Le ali me le ha spedite dalla Provincia di Modena, Raffaella Quaquaro, che conosco solo via email, ma che devo assolutamente incontrare al 34 di via Martiri della Libertà, che poi non è tanto lontano dal mio campo base modenese, dove vorrei essere piu’ spesso, ma non sono praticamente mai. E pensare che ogni volta che arrivo, Kabul, un grande cagnone bianco, “amico” di un condomino di cui non so il nome (per me è il papà di Kabul), mi accoglie con l’affetto di un figlio.
Volo. Cioè veleggio perché il soffitto non è alto come quello di una cattedrale e mi devo accontentare di tenere i piedi sollevati da terra, al secondo livello della scaffalatura che mi abbraccia tutt’attorno in un tripudio di libri di ogni età e vecchi 33 giri di vinile. Sto così da quando il postino, assieme al quotidiano del mattino, mi ha recapitato un grande involucro giallo dentro al quale ho trovato SAVOR, titolo su filo bianco che taglia una copertina con antica cucina in giallo, appeso al quale stanno cucchiaione, forchettone e mestolo.
E’ l’annunciato parto dell’omaggio alle rezdore geminiane, nato dall’amore tra la Provincia di Modena e la Fondazione Cassa di Risparmio, stampato da Artestampa di via Ciro Menotti, altro pezzo di Modena pregno dei ricordi di prima infanzia e giovinezza piena.
Il DVD allegato, che infilo subito nel PC per consumarlo con ingordigia, è di una bellezza paragonabile solo ai films di Federico Fellini e ad alcuni di Pupi Avati, senza far torto agli omaggi che hanno fatto alla civiltà contadina Bernardo Bertolucci (Novecento) e Ermanno Olmi (L’albero degli zoccoli).
Il volume narra di 37 ricette illustrate e filmate, molto meglio che in “Cotto e mangiato” della tv o nella confusionaria “Prova del cuoco”, dove tutti applaudono e nessuno assaggia.
Sconsideratamente mi ci tuffo abbuffandomi di quegli antichi sapori che sono alla base della mia stessa memoria. Non ricordo nulla della mia infanzia prima del gusto delle tagliatelline in brodo, delle polpette di ricotta e delle frittelle di cervella. Mi vengono addosso piatti che ho perduto, forse irrimediabilmente, come il riso o i maltagliati con i fagioli, e poi gli stricchetti con i piselli e la pancetta che aiutavo mia zia Maria a fare, dopo che aveva tirato la sfoglia.
Mangio con tanta voracità che mi sbrodolo e schizzo di sugo come non mi era mai capitato, e non mi accorgo del tempo che passa, fino a quando, per sopravvivere, mi devo attaccare alla bottiglia del Nocino per gli Amici, quello che mi ha regalato a Natale Romano Maletti, presidente della Corale Rossini .
La Rezdora.
La vera primadonna di Modena, la Bonissima in Cucina, l’Angelo Custode delle famiglie dell’altro ieri.
Sindaco ! Devi farle un monumento. In piazza Grande del posto ce n’è. L’hanno fatto dopo il ponte sul Ticino, a Pavia, alla Lavandaia. Modena lo deve fare alla Rezdora.
Libro e DVD sono il prodotto di un magnifico appassionato lavoro svolto da un gruppo di archeologi della cucina dei campi e dei monti, capaci di recuperare ingredienti e tradizioni quasi sempre dettati dall’arte di arrangiarsi, figlia della allegra miseria, tranne che nelle grandi occasioni: Natale, Pasqua, Matrimoni e Battesimi.
Nel mio volo vado a sbattere contro una tradizione cruenta, solo citata nel volume e non documentata nel filmato. L’uccisione degli animali da cortile, in cucina, poco prima di metterli in pentola.
Sono passati sessant’anni, ma ricordo molto bene quando con la zia andavo al mercato di via Albinelli a comprare una o due galline, o un cappone, vivi e starnazzanti, con le zampe legate da uno spago.
A volte avevo l’onore di portarli io fino a casa – via Lovoleti – dove assistevo sereno al rito sacrificale: la zia si metteva la bestia tra le gambe e gli tirava il collo. Poi lo si spennava, si bruciavano sulla fiamma della stufa le punte delle penne rimaste infilate nella carne, lo si squartava, puliva delle interiora e lo si cucinava. Molti si portavano a casa anche i conigli. Mia zia no.
La forza dei ricordi mi costringe a planare sulla solita sedia.
Modena mi è esplosa attorno con i profumi dello gnocco fritto, il sapore forte delle crescentine farcite con la mousse di maiale, aglio e rosmarino, e il ricordo dei borlenghi che faceva la Maestra Iris Cavalera di Fanano, che abitava con noi, nella casa degli insegnanti, attaccata alla scuola elementare di Villa Entrà, a 4 chilometri da Massa Finalese. Erano borlenghi speciali, mai piu’ ritrovati nelle trattorie che ancora li propongono, nè nelle testimonianze filmate dal DVD della Rezdora. Quelli dell’Iris da Fanano, erano morbidi e si condivano con tanto lardo pestato assieme all’aglio e al rosmarino,poi li arrotolavo come un grande cannolo e me li mangiavo con gioia. Da quegli ormai lontani Anni Cinquanta li ho ritrovati solo sottili sottili, secchi secchi, appena spalmati dal battuto che tanto aiutava a combattere il freddo di inverni dove la neve cadeva davvero, non come adesso che appare e scompare come un fantasma. Anche se basta a bloccare i treni e a far chiudere le scuole.
Io, quando mangiavo borlenghi, e al mattivo facevo colazione con lo gnocco firtto avanzato la sera prima, immerso nel caffelatte, facevo oltre 3 chilometri a piedi fino alla stazione, prima ancora che albeggiasse, con la neve sopra il ginocchio, per prendere il trenino della Sefta che mi portava a Finale Emilia, alla scuola media.
Che divertimento !
La mia – lo ricordo bene – era una generazione che amava il cibo. La Nutella, così come la conosciamo oggi, era là da venire, ma la Ferrero già forrniva pani di nocciola e cacao che si tagliavano a fette come il salame. I salumi erano i nostri abituali compagni di merenda, con qualche gnocchino condito con deliziosi ciccioli, o semplice pane bianco, quello che solo a Modena riesco a ritrovare. A Milano sfornano degli ottimi panettoni con l’uvetta e i canditi, ma il pane non l’hanno mai saputo fare e continuano a onorare la loro tradizione.
Finito il Nocino di Maletti – c’è sempre qualcuno che approfitta delle mie riserve ! – adesso devo farmi una flebo di Fernet che l’età non perdona.
Troppo appesantito per volare, me ne sto a meditare le bellezze della mia città. Modena.
Gente che nei secoli ha onorato l’impegno nel lavoro, ma ha voluto giustamente premiarsi inventando il miglior modo di mangiar bene. Una cultura che oggi, sotto il titolo SAVOR, ci è riconsegnata nell’integrità. Dio voglia che questo patrimonio tutto da clonare e riproporre, prendendo a calci tutti i salti in padella del reparto surgelati, finisca nelle mani dei nostri ragazzi.
Troppi si drogano per solitudine, noia, paura di non essere amati, stupiti del fatto stesso di essere nati e senza altra soluzione che la morte. Così la sfidano ogni sabato sera, e non solo. Così si bruciano preferendo stordirsci che accettare la realtà. E se invece di una pastiglia si facessero un borlengo? Se invece di drogarsi con polveri bianche e additivi chimici si drogassero di lardo e cipolla? Un attentato alla linea?
Assolutamente no, se ci si droga di passatelli in brodo, un bel msito di bolliti con la salsina verde bagnati da un Lambrusco denso e scuro, una doppia porzione di Zuppa Inglese con menta alkermes e rum, e via a correre verso la vita.
Daniele Rubboli